L’Addolorata di « marzo »
alla SS. Annunziata ...e altre note
L’occasione di parlare dell’Addolorata “di marzo” prende spunto da una nota datata 19 marzo 1723 appartenente alle Ricordanze – la cronaca – della SS. Annunziata.
Il discorso però è valido anche per una qualsiasi data di aprile legata alla Pasqua, festa mobile.
Nel 1723 questa solennità cadeva il 28 marzo, mentre la domenica delle Palme era il giorno 21 e il venerdì “di Passione” il 19.
Quindi quel venerdì di Passione rappresentò qualcosa di speciale, come si scrisse nelle Ricordanze:
“Conforme al solito si parò la cappella del Crocifisso, e vi si espose sotto il morto l’immagine della Madonna Addolorata”. Quindi, dopo la processione della Salve alla SS. Annunziata, si disse la corona e si cantarono otto strofe dello Stabat. Vi parteciparono i chierici con le cotte, due per accoliti e due da cantori. Venne proclamata anche l’indulgenza plenaria concessa fin dal 1717 ad septennium (per sette anni, che era la durata più comune). Dopo la funzione uno dei contori intonò il Iube domine benedicere e il sacerdote parato cantò: Nos cum prole dando la benedizione.
Un appunto degli Spogli del padre Raffaele Taucci († 1971) menziona brevemente altre note sull’Addolorata “di marzo” in particolare prese da Nicolaus Nilles e dal suo meritorio Kalendarium manuale utriusque ecclesiae orientalis et occidentalis ....
Nilles era un sacerdote lussemburghese (Rippweiler 1828-Innsbruck 1907), curato di Ansemberg tra il 1853 e il 1858, l’anno in cui entrò nell’Ordine dei gesuiti. Ebbe quindi, dal 1859, l’incarico di professore di diritto canonico all’Università di Innsbruck, da lui tenuto fin quasi alla morte. Per le sue opere fu apprezzato, oltre che nella Chiesa cattolica, anche presso i protestanti e i russi ortodossi.
Scrisse nel Kalendarium la parte sull’Addolorata di primavera dopo il pezzo riguardante la domenica Iudica (da Iudica me, Deus, introito della messa), o Domenica di Passione, o Quinta di Quaresima presso i Latini, e sesta dei digiuni presso i Greci; precedeva, come già detto, la domenica delle Palme.
Il seguito diceva (traduciamo perché il Kalendarium è in latino):
‘Come un tempo a Costantinopoli questo periodo si distingueva per doni ed esborsi distribuiti dall’imperatore e dal patriarca, così anche nella città di Roma, anticamente, tra le altre settimane, eccelleva per l’elemosina papale e altre cospicue opere di carità.
Questa settimana i monaci, che per amore della vita austera si erano portati in luoghi deserti, ritornavano nei monasteri; di questo uso dette una suggestiva testimonianza Cirillo di Scitopoli [oggi Beit She’an in Israele] nella Vita di S. Eutimio, n. 11:
Marciavano verso il deserto di Cutila ogni anno l’ottavo giorno dopo la festa delle luci, separati da ogni turbamento umano tramite la preghiera; e tutto il tempo intermedio lo passavano in solitudine finché giungeva il giorno della festa delle Palme. Allora tornavano alla cella’.
La Feria VI, il venerdì seguente, era quello proprio della festa “dei dolori della Beata Vergine Maria”. Scrive il Nilles che la sua prima istituzione è da riferire al sinodo provinciale di Colonia dell’anno 1423. ‘Per reprimere l’arroganza degli eretici hussiti che con furore sacrilego insozzavano le santissime immagini di Gesù Cristo e della Vergine Maria trafitti dal dolore, fu stabilito nel cap. 11. che la festa delle angosce e dolori della Beata Vergine Maria fosse celebrata ogni anno il venerdì successivo alla domenica Jubilate ...’.
Riguardo invece ‘alle ragioni della solennità odierna – scrive sempre il Nilles – è da considerare per prima l’accurata disputa di Benedetto XIV dal titolo De festis B.M.V., part. 2., dove le cose che attengono specialmente ai dolori della Beata Vergine e al loro culto nella Chiesa latina sono trattate con solidità ed erudizione ai nn. 46-48’. Anche il teologo gesuita Ferdinando Tetamo († 1784) nel suo Diarius, tratt. 2., parte. 2, c. 7, sez. 5., ne ‘risolve i problemi liturgici in modo dettagliato’.
E l’autore termina: ‘Rimandiamo il lettore a questi autori per non sprecare invano i nostri sforzi nel chiarire la questione, già esposta da uomini così eminenti’.
Aggiunge poi che nel più recente decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 18 settembre 1814 è dato precetto a Pio VII che in futuro nella Chiesa universale (latina) l’altra festa dei dolori della Beata Maria Vergine venga celebrata annualmente la terza domenica di settembre ..., salva la commemorazione della stessa festa il venerdì dopo la domenica di Passione.
Così, dunque, – Nilles chiude – ‘l’esimio zelo dei “Latini” rifulge nel ripensare ai dolori della Beata Vergine Maria’.
In carattere più piccolo poi appaiono delle note sulla Chiesa d’Oriente ‘che non è meno incline ad assumere lo stesso dovere religioso, e che già da tempo contese con l’Occidente l’onore all’Addolorata.
Sono testimoni della sua pietà, oltre alle solennità concettuali della commemorazione della SS. Madre Dolorosa propria dei cattolici ruteni’ (abitanti il versante danubiano dei Carpazi), ‘quegli emblemi di Maria rivolta al Cristo sulla croce, nei quali tutti i Greci veneravano, con grande zelo nei servizi divini durante il periodo di digiuno, la Santissima Madre di Dio afflitta gravemente dalla passione crudele del divin Figlio.
Di quelle poche cose che seguono ... non c’è altro che la nostra istituzione, e speriamo che questo anche tra i Latini sia un piccolo incentivo alla mutua emulazione per onorare con ancor maggiore pietà la Madre comune di tutti’.
Un altro appunto sul tema del padre Taucci mette in campo la Liturgia Mozarabica (liturgia speciale ispanica o visigotica dei secoli IV-XI). Nel testo, secundum regulam Beati Isidori in duos tomos ..., alla festa dell’Annunciazione, è scritto:
“Erigamus ergo ... nec genitricem labore contristat qui et nascendi objurgat gemitum, et nati consignat affectum. Neque enim fas erat ut traheret illa suspiria, quae omnium gaudia pariebat: aut origo esultationis noscere vim doloris”.
Che nella nostra pochezza in materia traduciamo letteralmente (ma se qualcuno ha una versione migliore ce la mandi):
Alziamoci allora ... non contrista la madre nel dolore e di colui che sta nascendo comprime il pianto e del nato sigilla l’affetto.
Perché non era permesso, anche se traeva quei sospiri, che lei partorisse le gioie di tutti gli uomini, o l’origine dell’esultanza conoscesse la forza del dolore.
Paola Ircani Menichini, 12 marzo 2022.
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